Sommario
Partendo da un articolo del 2002, l’autore esamina i molti cambiamenti oggi in atto o già avvenuti nel settore della formazione online. Segnala poi due driver – le tecnologie e il modello didattico – come elementi principali delle dinamiche attuali. Indica infine nel lavoro collaborativo una chiave importante per gli sviluppi futuri.
Abstract
Starting from a 2002 paper, the author examines the many changes that have occurred or taking place in the sector of the online education. He points out two drivers – technologies and didactical model – as the main elements of the current dynamics. Finally, he indicates collaborative work as an important key for future developments.
Keywords
Online education, Technology, Didactical models, Collaborative learning, Emergencies
Breve riassunto della puntata precedente
L’anno era il 2002: nel primo numero di questa rivista l’autore descriveva pregi, potenzialità, pericoli della formazione online, a partire dalle sue esperienze. Un contesto percepito come avventuroso, in cerca di consolidamento, ricco di potenziali sviluppi, interessante da esplorare.
Si individuavano tre assi principali – spazio, tempo, relazione – ciascuno con 2 stati (tradizionale vs nuovo). In particolare, l’asse spaziale veniva articolato in presenza (locale, tradizionale) vs distanza (remoto); l’asse temporale in tempo reale (sincrono, tradizionale) vs differito (asincrono); l’asse della relazione in gerarchica (broadcast, tradizionale) vs collaborativa (rete). La combinazione di questi fattori determinava 8 casi secondo cui classificare le soluzioni in atto e declinare le potenzialità e i rischi della formazione online: dal caso della didattica classica (in presenza, in tempo reale, broadcast) a quello dell’online learning (remoto, asincrono, in rete), passando per i vari casi intermedi, per esempio la teledidattica (remoto, sincrono, broadcast) oppure il forum (asincrono e in rete) o altri ancora.
Focus dell’assunto del 2002 era che la situazione avrebbe potuto evolvere positivamente pur di fare attenzione ad alcuni elementi-chiave: farsi guidare dalle esigenze dell’utenza e non solo dell’offerta, progettare percorsi ben definiti, lavorare sull’interattività e sui ruoli dei vari attori.
Un nuovo contesto
Vent’anni di differenza sono un abisso per molti aspetti: per esempio il fatto che nel 2000 non esistessero i canali social non metteva in evidenza il tema di come si diffonde l’informazione, oppure il fatto che le agenzie formative “ufficiali” avessero una loro (ancora ragionevole) autorevolezza non poneva il tema dell’accreditamento.
Accenno qui brevemente a tre importante elementi nuovi rispetto al 2000 e al loro impatto sulla formazione oggi: la globalizzazione, le emergenze, le dinamiche sociali.
– La globalizzazione nel campo della formazione ha un picco, i MOOC (Massive Online Open Courses), contornato da una palude, i social. Dei MOOC dirò più avanti. La mia visione della “palude social” ha una connotazione in parte negativa: essere perennemente connessi e immersi in uno spazio virtuale è una fortissima spinta alla condivisione, ma troppo puntata sulle questioni personali; la concentrazione è bassissima, il tempo usato spropositato, le futilità infinite. Ma la palude, pur caotica e maleodorante, può essere anche generativa: alberi nel mondo reale, discussione nel mondo social.
– Le emergenze in cui siamo immersi sono molte e ormai non più temporanee: quella climatico-ambientale, quella pandemico-sanitaria, quella umanitaria di guerre e migrazioni. I loro effetti sulla formazione appaiono marginali solo se non si riflette ai mutamenti che esse comporteranno: le dimensioni dell’utenza potenziale da alfabetizzare, i contenuti di culture non occidentali che si aggiungeranno, le nuove competenze professionali che saranno richieste (la mediazione culturale, solo per fare un esempio). Su tutto ciò bisognerebbe ragionare da subito.
– Le dinamiche sociali sono tra le cose più evidenti e travolgenti di questi anni, delle quali – però – è troppo presto per valutare gli impatti. L’attenzione verso i diritti e la presenza “più visibile” delle minoranze produrrà contenuti e forme di fruizione differenti? Un maggior numero di donne al comando (parlo qui di ruoli decisionali) porterà a un approccio diverso anche nella formazione? Non so rispondere, ma penso che a breve lo si capirà.
Cosa sta guidando l’innovazione
Veniamo ora al focus del lavoro, cioè ai due driver cui ho fatto cenno all’inizio.
3.1. Il primo è quello delle tecnologie; ecco alcuni spunti sul loro contributo nella formazione.
La banda larga. Vent’anni fa c’erano solo videocassette, cdrom, dvd, chat testuali; oggi sono diffusi quasi ovunque (e dati per scontati) la banda, la rete, il wifi. Ciò permette la condivisione di foto e video, stoccabili fino (quasi) all’infinito e consente di trasferire velocemente quantità enormi di dati, di archiviarli nel cloud, di condividerli facilmente con i propri contatti.
La presenza di software, anche avanzati, di uso molto semplice permette di operare anche da mobile (quindi più o meno sempre), il che suggerisce due considerazioni certamente positive: la prima è che tutto questo rende più facile concentrarsi sulle esigenze dell’utenza (la tecnologia c’è e costa poco), la seconda è che aiuta il lavoro collaborativo, tema su cui tornerò tra breve.
L’intelligenza artificiale (AI) ha potenzialità assolutamente rilevanti, anche se al momento c’è molto da perfezionare: software come chatGPT compiono ancora errori (ma alla sua nascita anche Wikipedia ne faceva). Nel nostro contesto, l’aspetto che mi pare importante è il suo utilizzo come strumento di brainstorming e di supporto al lavoro collaborativo: ci sono software che – a partire da un input testuale – costruiscono immagini ex-novo coerenti con quanto richiesto ma di oggetti che non esistono.1 Diventa quindi sempre più importante “interrogare bene” gli strumenti a disposizione: è ciò che viene indicato col termine prompt engineering, cioè la capacità di porre le questioni nel modo più corretto perché l’intelligenza artificiale produca risultati soddisfacenti22.
3.2. Il secondo driver è il modello didattico.
Mi sembra che oggi la suddivisione netta tra spiegato ed esperito – cioè tra un modello basato sulla esposizione dei contenuti da parte del docente e uno basato sull’esperienza del discente e sulla sperimentazione – non sia (più) convincente. Il docente ha a disposizione un’ampia varietà di strumenti che, se usati, gli fanno assumere il ruolo di facilitatore più che di unico depositario di contenuti. L’apprendimento è (anche) in mano allo studente che impara e non (solo) al docente che propone. Non c’è un unico canale: gli studenti, in particolare i giovani, hanno una “estensione naturale” nel cellulare e apprendono anche da lì.
Esiste un (sempre più) forte valore della sperimentazione. Il vecchio detto secondo cui sbagliando s’impara oggi vale ancora di più, almeno a condizione di sperimentare in un contesto protetto e con la presenza di feedback adeguati (ancora una volta, docente=facilitatore). Un buon esempio è l’imparare a guidare: serve certamente un istruttore, ma si deve comunque provare. In maniera abbastanza simile (per quanto riguarda tempi/modalità di lavoro) ciò avviene con la cosiddetta flipped classroom, termine che si può tradurre come insegnamento o classe capovolta, un approccio che ribalta il tradizionale ciclo di apprendimento fatto di lezione frontale, studio a casa e verifiche in classe33.
Apprendere in questo modo vale sempre? Certamente no: un edificio non si costruisce col fai-da-te. Però qui entrano in gioco altri strumenti, in particolare quelli della simulazione, che procedono per prova ed errore. La possibilità di esplorare – sempre guidati dal docente – le varie dimostrazioni di un teorema per scegliere quella più efficace aiuta a capirlo meglio: con la “scoperta” diretta gli studenti sono più motivati. Da qui emerge un potenziale valore positivo dei social: un’esplorazione critica, con la possibilità di provare, magari insieme e guidati.
C’è una affermazione che facevo nel 2002 che oggi è smentita: riguarda il tema della gratuità. Affermavo che “quando una cosa è gratis il suo valore economico è basso”. La situazione è decisamente cambiata, il caso più evidente è quello del MOOC, con la possibilità di accedere gratis a parti dei loro contenuti presi per esempio da Youtube. La logica oggi è quella della open education44: “creo un contenuto perché possa essere ripreso, migliorato e di nuovo condiviso”. In rete sono sempre più presenti moduli riusabili e si diffonde la spinta a un lavoro collaborativo nel quale i contenuti vengono costruiti, condivisi, criticati, decostruiti, ricostruiti, ricondivisi, …
A questo punto serve una precisazione: personalmente attribuisco grande differenza ai due termini collettivo e collaborativo. Un’attività collettiva ha (di solito) pochi gradi di libertà: c’è un compito da svolgere insieme, a volte ciascuno con la sua piccola parte. Per una attività collaborativa, invece, serve una unità d’intenti e un lavoro tra pari (a volte guidato da un facilitatore), comporta spesso un riconoscimento dell’impegno tra pari che produce soddisfazione nei soggetti coinvolti. Siamo certamente “sulle spalle dei giganti”, cioè di chi ci ha preceduto, ma possiamo modificare e arricchire il quadro, guardando anche ai risultati personali.
Quindi …
Tutto ciò non esisteva 20 anni fa, il mondo digitale era allora un’idea in nuce, oltre che il titolo di questa rivista, mentre ora è consolidato e pervasivo (basta osservare l’uso del cellulare in metropolitana). Oggi la disponibilità di risorse utili alla formazione è totale: queste “unità didattiche” sono spesso riusabili a piacere (con la licenza Creative Commons a volte basta solo citare la paternità). E ciò porta alle ultime due questioni su cui mi voglio soffermare:
(i) è quasi sempre più comodo/utile cercare in rete piuttosto che creare contenuti nuovi;
(ii) conta molto l’assemblaggio delle unità selezionate (cioè il come si costruisce un percorso).
La prima questione pone il problema del predominio dell’esistente e della ripetitività: diventa più facile consolidare55 piuttosto che innovare e ciò può essere un freno alla creatività (ma spesso la forza delle idee nuove supera anche questo ostacolo).
La seconda questione segnala l’importanza di una guida nel costruire un percorso sensato di unità didattiche, tema che già indicavo nel 2002: molto si gioca sull’approccio e sulle capacità dei formatori, che dovrebbero essere non solo non giudici, ma soprattutto accompagnatori e stimolatori critici.
Che fare dunque? Investire sulle giovani generazioni, guidarle e aiutarle a orientarsi, abituarle al lavoro collaborativo. Nel mondo globalizzato i nostri figli/nipoti troveranno problemi pesanti, per i quali servirà collaborare, avere una formazione continua, con tempi e modi personalizzabili, atta a sviluppare capacità di critica e autocritica. E ciò non vale solo per la formazione universitaria, ma per ogni livello formativo: la formazione agisce efficacemente ovunque c’è una relazione (tra docente e classe, ma anche tra tecnico e cliente), deve preparare al confronto e alla collaborazione.
Tutto ciò non è certamente facile: gli effetti negativi dei social, la scarsa consapevolezza su questi temi, la poca voglia di impegnarsi, sono di ostacolo. Ma ci sono le condizioni per investire in una formazione di qualità: sia condizioni oggettive (per esempio, dovremo pur rispondere all’impatto dell’AI sulla forza lavoro) che tecnologiche (ci sono di aiuto le molte varietà di strumenti software).
Ecco dunque ciò di cui potremo parlare tra (altri) 20 anni.
PS1 Molte delle cose qui scritte le devo al fondamentale confronto con due amici, Daniele Albricci e Paola Corti, entrambi della task force di METID, che qui voglio ringraziare.
PS2 Mentre elaboravo questa nota, sono stato tentato di far scrivere un pezzo a ChatGpt e poi confrontarlo; ci ho rinunciato per lealtà verso i lettori e per il blocco del software. Ma prima o poi ci proverò …
Su altri elementi come la realtà virtuale e il metaverso sono più perplesso: forse sono mode (ricordate Second Life?) e poi esistono inconvenienti ancora irrisolti (es. perdita di contatto con la realtà), anche se ci sono esempi stupefacenti per il realismo grafico e le azioni possibili. ↩︎
Qui alcuni link utili: https://www.intelligenzaartificialeitalia.net/post/cos-%C3%A8-la-prompt-engineering-o-ingegneria-dei-prompt; o anche in:
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/prompt-engineering-rivoluziona-marketing-comunicazione/ ↩︎
Una descrizione si trova in: S. Sancassani et al. La ricerca del giusto mezzo. Strategie di equilibro tra aula e digitale. Ed. Pearson, 2023; o anche: https://www.soloformazione.it/news/didattica-capovolta-o-flipped-learning-cos-e-e-come-funziona ↩︎
Un esempio rilevante è il progetto Liberated Learners, esperienza di co-design tra studenti, docenti e staff che ha coinvolto varie università sfociando nella creazione di un Open Textbook condiviso (https://ecampusontario.pressbooks.pub/learner/) rilasciato con licenza CC BY NC. ↩︎
Non voglio aprire il tema delle fake news e delle informazioni pseudo-scientifiche, che pure meriterebbe qualche considerazione ↩︎
Laureato in ingegneria elettronica, professore ordinario al
Politecnico di Milano, ha insegnato in vari corsi di laurea a Ingegneria, Architettura
e Design. Fondatore e presidente del centro METID (1996-2011), della SIe-L
(2003-2007), del consorzio Poliedra (2002-2017), delegato del Rettore per l’elearning
e l’innovazione didattica. È stato tra i primi in Italia a sperimentare la
didattica a distanza; nel 2000 ha coordinato il primo corso di laurea interamente
online.
Ha pubblicato oltre 250 lavori, diretto o collaborato a numerosi progetti nazionali
ed europei, svolgendo ricerche nei seguenti settori: analisi a molti criteri, sistemi
di aiuto alla decisione, modelli per la valutazione d’impatto ambientale, metodi di
ottimizzazione, smart city e smart mobility, simulazione e serious games,
formazione multimediale.
Attualmente è presidente del Comitato UNICEF di Milano.