EDITORIALE
Il transistor: settant’anni portati bene
Silvio Hénin (AICA)
Era una giornata nevosa quel 23 dicembre del 1947 a Murray Hill (New Jersey), dove si trovava una delle sedi dei prestigiosi Bell Laboratories. I dipendenti si preparavano allegramente alle vacanze natalizie, ma un gruppetto di loro era ancora impegnato nella dimostrazione di una nuova tecnologia, messa a punto solo un paio di settimane prima. In uno dei laboratori al quarto piano dell’edificio 1, due fisici quarantenni, Walter Brattain e John Bardeen, collegarono un microfono all’ingresso di un piccolo circuito e una cuffia all’uscita, che fu fatta indossare al direttore delle ricerche Ralph Bown. Brattain pronunciò qualche parola nel microfono e Bown udì chiaramente la voce nella cuffia. Amplificare un segnale elettrico non era certo una novità , lo si faceva da quarant’anni usando quei luminosi e caldissimi componenti, affamati divoratori di energia anche quando non fanno nulla, chiamati valvole termoioniche. Ma sul banco dei Bell Labs vi era solo un piccolissimo accrocchio di germanio, oro, plastica e graffette metalliche, che non emetteva né luce né calore. Era il transistor, il miglior regalo di Natale che i due ricercatori potessero fare alla loro azienda e a tutta l’umanità . Il nome non era neppure stato coniato, fu proposto l’anno dopo da un altro ingegnere dei Bell Labs, John Pierce; nel suo tempo libero Pierce era uno scrittore di fantascienza, quindi abituato ad inventare parole nuove per concetti innovativi e futuristici.